Luigi Minguzzi 40PTICAL 1975/2015 @ Artefiera 2015 Bologna

Dal 23 al 26 Gennaio 2015, ad Artefiera di Bologna, presso l'espositore Di Paolo Arte, allo Stand A/76 del Padiglione 26 verranno esposte alcune opere che rappresentano l'evoluzione Optical di Minguzzi.


AETHER, IL QUINTO ELEMENTO

Sono trascorsi 40 anni da quando Luigi Minguzzi ha avviato una ricerca sulle ambiguità della percezione visiva. Una ricerca e una riflessione estremamente personali, dove la posta in gioco non è tanto – o non è solo – la struttura dinamica che la psicologia sperimentale aveva preso a investigare fin dalla metà degli anni Cinquanta, ma anche la relazione che la nostra visione intrattiene con l’istinto, con le movenze della creatività, con gli scarti improvvisi, inattesi, sorprendenti, che la passione per la forma è in grado di generare.

Qualche cosa permane, indubbiamente, nella configurazione delle immagini che Minguzzi compone, a cominciare dall’attenzione nei confronti delle geometrie. Geometrie che, se quarant’anni fa mantenevano un sapore euclideo, oggi sembrano diventare il retaggio, la citazione, di un progetto che si è venuto sempre più complicando. E questo lo si deve soprattutto al mutamento della pratica della composizione, al fatto che ora è la digitalizzazione a costituire la premessa – e la scommessa – delle procedure che Minguzzi elabora.
Insomma, si tratta pur sempre di stabilire una relazione tra l’occhio di chi osserva, che deve essere stimolato e non immerso in una dolce e passiva malinconia, e “ciò che l’opera è”. Ora, grazie all’evoluzione della tecnica e alle sue potenzialità, alla sua propensione a conferire ordine agli accadimenti mondani, le immagini progettate da Minguzzi moltiplicano l’orizzonte degli eventi, la simultaneità della visione, la complessità dei sistemi di riferimento visivi.

Eppure – e qui penso risieda l’originalità della sua ricerca – Minguzzi evita che la strumentazione tecnica abbia il sopravvento. Non si tratta più di riordinare l’intreccio baluginante di linee e strutture permutate, non si tratta consegnare alla programmazione di una macchina l’intrico di ciò che il nostro sguardo può osservare; si tratta piuttosto di mantenere viva la propensione a interrogare lo spazio che ci circonda, l’istinto ad avventurarsi in porzioni della nostra esperienza che possono essere rese visibili solo attraverso una costante contaminazione dei meccanismi che danno vita alle immagini.
Se questo istinto creativo ha un nome, se questa pulsione a disegnare la mappa di un universo ambiguo – e carico di valenze simboliche – può essere nominata, penso si tratti di quel “quinto elemento” caro a Minguzzi: l’etere. Vale a dire lo spazio in cui i fatti accadono. Uno spazio che non è né vuoto, né incolore, ma ricco, ambivalente, fluido ... pericoloso.


Bruno Bandini